sabato 30 agosto 2008

La Moneta di Transizione: i B.L.S.

In vista del raduno nazionale sulle monete locali che si terrà a Rimini nella prima metà di ottobre 2008 e che abbiamo deciso di chiamare "OKTOBERSCEC", abbiamo pensato di creare un post nuovo e riassuntivo sui Buoni Locali di Solidarietà (BLS in seguito) del progetto Arcipelago SCEC.
Un unico avviso per chi si intende di economia, la studia, la mastica o chi lavora in banca:questo post non è per lui, faccia finta di non averlo visto e passi oltre.
Per tutti gli altri, curiosi o semplicemente interessati all'argomento oppure per chi non sa o non ha mai capito da dove vengono i soldi e soprattutto dove vanno, prima di tutto si guardi QUESTO

PREMESSA La situazione economica caratterizzata dall’esasperato aumento del debito delle famiglie e delle imprese a causa della deregulation finanziaria e della esagerata creazione monetaria ex nihilo, evidenziata dal progressivo impoverimento delle economie locali accentuatasi con la globalizzazione, ha determinato la necessità di attivare un circuito economico alternativo anche in Italia.La moneta complementare locale ed il sistema di compensazione creditizia, hanno rappresentato in passato e rappresentano oggi, le due più efficaci, affidabili e sostenibili alternative al vigente sistema bancario e monetario.S’intende inoltre dimostrare che la moneta, quando emessa correttamente, risponde a principi d’equità, merito e giustizia. Non crea ne inflazione ne debito pubblico. Sfortunatamente, altrettanto importante ed ingegnosa è stata nel corso degli anni la sua manipolazione e strumentalizzazione.I BLS nascono dall’esperienza e dallo studio di oltre 4.000 esempi di monete complementari presenti in tutto il mondo, passato e presente, compreso il circuito WIR svizzero, gli ITHACA HOURS statunitensi, il FUREAI KIPPU giapponese e il REGIO tedesco.

L'ECONOMIA DI MERCATO (O MEGLIO L'ECONOMIA DEL DEBITO)
La nostra moneta ufficiale, l’euro, come tutte le altre monete a corso forzoso, la cui accettazione è imposta dalla legge, è una moneta basata sul debito. Lo Stato, che ogni anno deve adeguare la quantità di moneta in circolazione, necessaria per lo scambio di beni e servizi, si indebita con la banca centrale che stampa il denaro, emettendo titoli pubblici (Bot, BTP, CCT ecc.) per un pari importo e sui quali deve pagare anche un tasso di interesse. Dal 1971 inoltre nessuna moneta a corso forzoso e garantita dall'oro o altri metalli preziosi, quindi se la moneta deve essere solo la rappresentazione “cartacea” dei beni e servizi, ovvero della ricchezza prodotta in un territorio, la sua funzione dovrebbe essere praticamente neutra e non gravata da un debito a cui si devono aggiungere perdipiù i dannosissimi interessi.Per capire meglio questo concetto Vi consiglio di vedere questo video: è un pezzo del film "El Concursante", mai passato in Italia, per ovvi motivi...

Video

Il video rappresenta la situazione in cui la produzione di beni e servizi rimane stabile e quindi non c'è ogni anno un nuovo indebitamento. Nel giro di pochi anni tutto passa in mano del sistema bancario. Ma con l'innovazione noi sappiamo che la produzione tende a crescere di una percentuale ogni anno, il cui indice è il famigerato: P.I.L. (Prodotto Interno Lordo) e quindi è necessario richiedere nuova moneta per adeguarla alla maggiore produzione.Maggiore produzione = Maggiore indebitamento + Aumento InteressiProduzione stabile = Pagamento interessi = Minore moneta in circolazione + CrisiAdesso capite come mai l'importo del debito pubblico italiano non diminuisce MAI, ma continua ad aumentare?I BLS sono dati gratuitamente o dietro veramento del solo costo di stampa, per coprire le spese, non creano debito e sono esenti da interessi come del resto quasi tutte le monete complementari passate e presenti.

TRANSITION MONEY
La via per l'abbondanzaLiberamente adattato da un report di Centrofondi dell'11 Maggio 2007...nel 2005, in Italia, abbiamo avuto una crescita pari a 0 (zero). Questo vuol dire che al netto dell’inflazione abbiamo prodotto come l’anno prima. Poiché non abbiamo fatto investimenti, seppur necessari, per carenza di copertura finanziaria, non avremmo dovuto aver bisogno - quindi - di altri €uro, quelli che erano in circolazione sarebbero dovuti bastare. Invece sappiamo dal bilancio di Banca “d’Italia” (spa) che sono stati emessi/prestati agli italiani dalla BCE – banca centrale europea, ben 90 mld di €uro pari al 6,5% del prodotto interno lordo 2005 appunto e per i quali, superfluo dirlo, ci siamo indebitati del pari importo + interessi.In pratica nel 2005 pur non aumentando la produzione ci siamo indebitati 6,5 volte in più del necessario. Questo dimostra due cose:1) che ci è stato imposto un indebitamento non richiesto e non necessario2) che l’inflazione reale è molto superiore a quella dichiarata dalle fonti ufficiali. In Usa una stima attendibile sulla massa monetaria – le stime ufficiali sono state soppresse (!!) –, ci dice che quest’anno essa crescerà del 13% contro una crescita del PIL che si assesterà all’1,3%. Il popolo USA quindi si indebiterà circa 10 volte il proprio fabbisogno reale di moneta. E’ utile ricordare che questa eccedenza di moneta provoca inflazione, la quale – diluendo il valore dei beni reali – toglie potere di acquisto alla moneta stessa, quindi a salari, stipendi, pensioni e redditi imprenditoriali. Ecco perché l’inflazione ci fa tanta paura ed ecco perché le nostre tasche sono sempre più vuote nonostante ci sia crescita economica costante. Immersi come siamo in questo girone d’inferno dantesco è chiaro come il nostro pensiero, condizionato da una quotidianità fatta di sofferenze e di stenti, non riesca a trovare la soluzione ai problemi che lo spudorato sfruttamento delle nostre persone (che debbono fare i salti mortali e due lavori per arrivare a fine mese e magari pagare rate) e delle risorse naturali, ci pone. La strada per uscirne, l’unica strada, è la decontaminazione del pensiero, la destrutturazione del pensiero, piegato dall’assillo del debito. La strada possibile è l’adozione di una moneta di transizione, una transition money*, rubando la definizione alle transition town. Una moneta che non sia affetta dalla malattia del debito e che venga capita e accettata facilmente da tutti; una moneta che agisca da antidoto alla malattia che affligge le nostre menti, che permetta di farci vedere che un futuro diverso esiste ed è possibile. Uno strumento, come qualunque moneta dovrebbe essere, che aiuti a pensare in modo corretto e che disattivi quel percorso perverso di pensieri negativi indotti dall’uso del denaro drogato dal debito. Questa è la funzione della moneta complementare, non deve essere complicata, deve avere una struttura semplice e di facile comprensione, ma soprattutto NON deve essere CONVERTIBILE IN MONETA UFFICIALE (in €uro). La riserva in €uro annullerebbe completamente i vantaggi di usare una moneta non legata al debito, una moneta – inoltre – che fa rimanere la ricchezza nel luogo in cui essa è prodotta. Sono concetti difficili da capire, perché troppo siamo abituati ad usare gli €uro senza capire cosa stiamo facendo.

MICROCREDITO, CREDITO e ECONOMIA DEL DONO
Il microcredito è nato dall’idea di Mohammad Yunus, il banchiere, che da oltre vent’anni concede ai poverissimi (cui nessuna altra banca al mondo darebbe mai una lira), piccoli prestiti per consentire loro di iniziare un’attività che li conduca fuori dallo stato di disperazione in cui versano. Sull’idea di Yunus sono sorte oltre duemila istituzioni che praticano questa finanza etica il cui scopo non è l’accumulazione monetaria, poiché i prestiti sono effettuati a tassi prossimi allo zero, ma il riscatto del maggior numero di persone dalla povertà e dalla miseria.In Italia la logica del microcredito è stata concretizzata dalla rete delle MAG, società finanziarie in forma cooperativa che supportano piccoli progetti di impresa tutti legati tra loro e che si sostengono reciprocamente senza gravare i soci con garanzie e interessi se non in misura ridottissima. La rete è anche connessa a Banca Etica, struttura che finanzia progetti di imprese non inquinanti e con un tasso di interesse inferiore a quello praticato dalle altre banche.Anche se questa non è la sede adatta a sollevare critiche sull'analisi di Marx della moneta, nel libro I, a pagina 159 del Capitale, leggiamo: "...la moneta di credito è sottoposta invece a rapporti che ancora ci sono completamente sconosciuti, dal punto di vista della circolazione semplice delle merci. Notiamo tuttavia, di passaggio, che come la carta moneta vera e propria sorge dalla funzione del denaro come mezzo di circolazione, la moneta di credito ha la sua radice naturale nella funzione del denaro come mezzo di pagamento...". Precorreva i tempi.Parliamo ora dell'economia del dono:E’ difficile che il singolo individuo possa pensare alla distribuzione della ricchezza che egli produce come ad un atto che gli genera benefici, ma in realtà è proprio così, se ci liberiamo della mentalità contadina che vede nell’accumulazione l’essenza della ricchezza. Un chiaro esempio di economia del dono è il software open source.Lo SCEC si integra bene nell'economia del dono, è una transition money come abbiamo visto in precedenza, ma può essere considerato anche un sistema di scambio non monetario in quanto agisce e rivitalizza le economie locali.

I BLS: COSA SONO I BLS
Sono delle “cartonote” e si usano insieme agli Euro. Il funzionamento è intuitivo. Vengono stampati dalle Associazioni locali e consegnati gratuitamente agli iscritti e alle famiglie. Questi Buoni Locali danno diritto ad una riduzione sui prezzi di listino. Un associazione onlus, locale, coordina questa fase.Emissione:Viene fatta dall’associazione senza scopo di lucro costituita ad hoc in cui parteciperanno tutte le associazioni di categoria coinvolte, gli Enti Locali ecc. ove questo non sia possibile ogni commerciante e imprenditore aderirà a titolo personale. Questi buoni danno diritto ad un abbuono medio del 20% (dal 10% fino al 30%) sui prezzi di listino, ma ogni esercente e chiunque sia in grado di offrire una prestazione o un bene sceglie la percentuale da applicare. I buoni non sono convertibili in euro e hanno la particolarità di ancorare sul territorio, arricchendolo, anche la parte di spesa pagata in euro. Distribuiti direttamente alle famiglie del territorio, oltre che tra gli aderenti, attireranno nel circuito anche coloro che di solito fanno la spesa nella grande distribuzione o da altre località.Distribuzione agli aderenti:Come detto in precedenza i Buoni vengono distribuiti gratuitamente (o al solo rimborso spese di stampa) alle famiglie e agli iscritti. La quantità iniziale sarà di 100 Buoni locali ad iscritto, con la possibiltà da parte della associazione di distribuirne quote aggiuntive per attività benemerite per il territorio (GAS, raccolta differenziata, assistenza a domicilio, carpooling, ecc.) e per attività divulgative del progetto Buoni, o per donazioni nei confronti di enti locali che ne facciano richiesta o che operino in partnership con l'Associazione locale. I tagli sono sei:0,50 – 1 – 2 – 5 – 10 - 50 SCEC.I BLS SCEC non sono accumulabili, non creano debito, non esigono interessi, aumentano il potere di acquisto (mediamente del 20%) di stipendi e pensioni, rinvigoriscono le economie locali. Sono una transition money che introduce concetti come Economia Del Dono e Reddito Di Cittadinanza (che vedremo più avanti).

I BLS: RICCHEZZA SUL TERRITORIO
I BLS, hanno la particolarità di circolare solo in un territorio limitato, (a livello regionale). Questo consente ad una parte della ricchezza prodotta nel territorio, di rimanere e di essere spesa tra le aziende, industriali, artigiane, commerciali e contadine aderenti al circuito. Il fatto di essere uno strumento di scambio che non rappresenta una riserva di valore e che non produce interessi, potrà “contagiare” positivamente anche la moneta ufficiale a cui è legata e consentirà una maggiore velocità di circolazione.E’ auspicabile che alle imprese, si affianchino anche professionisti come commercialisti, dottori, geometri, ingegneri ecc., professori che impartiscono lezioni varie, musica, lettere, matematica ecc., baby sitter, badanti, asili privati e pubblici, scuole di ballo, palestre ecc. Maggiore sarà la diffusione dei BLS, maggiore sarà la ricchezza che circolerà e rimarrà sul territorio.Gli Enti locali coinvolti potranno studiare agevolazioni per le imprese che aderiranno all’iniziativa e per le nuove imprese (industriali, commerciali, artigiane e contadine) che decideranno di aprire la loro attività nel territorio accettando e favorendo la circolazione dei BLS.Sia nel settore agricolo che nei comparti artigianali e industriali verranno attuate delle riduzioni della filiera produttiva che permetteranno anche di poter comprare a prezzi concorrenziali, prodotti e manifatture locali, favorendo il mantenimento della tradizione. Questi piani aziendali, a disposizione open source sul sito, sono parte integrante del progetto.Al fine di favorire il successo dell’iniziativa è auspicabile che venga attivata una adeguata promozione nel territorio che faciliti la comprensione dei cittadini sull’uso ed sui benefici che ne potrà trarre l’intera comunità dall’adozione dei BLS. Si deve ricreare il senso di appartenenza ad una comunità, ad un territorio. Per favorire l’integrazione degli immigrati presenti si potranno studiare forme per favorire l’uso del Buono che sarà strumento di inserimento di queste comunità nel tessuto sociale. Con l’uso dei BLS i Comuni possono svolgere una vera funzione di supporto sociale senza costi aggiuntivi per la popolazione.L’obiettivo è quello di favorire e coordinare la diffusione di questi BLS in tutto il territorio italiano e poi permettere, avendo la stessa struttura e gli stessi criteri di emissione e distribuzione, di potersi scambiare le merci e i servizi in eccesso fra le varie realtà pagando ognuno in percentuale in buoni della propria località di origine. Questo permetterebbe di ricreare in poco tempo una economia nazionale, non più dipendente dalle assurde e dannose logiche della globalizzazione, portare ricchezza pura non gravata dal debito e dimostrare che esiste un altro modo di fare economia.Ecco perchè i Buoni sono sì locali, ma mai limitati nel loro utilizzo. Sono un valido contributo alla rinascita della produzione locale non essendo spendibili fuori rete, meno che mai sono accettati lontano dall’Italia.

I BLS: COME USARLI
Il Buono Locale di Solidarietà, viene accettato per l’acquisto di beni e servizi all’interno del circuito. Chiunque offra un bene o un servizio alla comunità la arricchisce, contribuendo alla fine dell’incubo della quarta settimana. Ad esempio: 100 Buoni Locali aumentano il potere di acquisto delle pensioni di 500 euro del 20%.Immaginiamo di recarci al piccolo market del quartiere (uno di quelli sopravvissuti alla GDO), acquistiamo per € 36,00 e l'esercente accetta i BLS al 20%; pagherò (circa) 29 in euro e 7 in Buoni. Il negoziante batterà uno scontrino di 36 euro con 7 di abbuono e pagherà le tasse e le imposte sui 29 euro effettivamente incassati. Successivamente il negoziante potrà riutilizzare i 7 SCEC presso ogni altro aderente al circuito, per soddisfare i suoi bisogni in termini sia di beni che di servizi.Il negoziante in possesso di molti Buoni vorrà dire che ha avuto anche un proporzionale incremento di euro e comunque non avrà mai superato il rapporto di 20SCEC contro 80Euro. L’importante è che si faccia un’opera di informazione per cui per i negozianti diventi automatico dare e ricevere Buoni e per i clienti diventi un’abitudine portare Buoni in tasca. Il Buono è reale potere di acquisto per chi lo usa.

FISCO E SCEC
Dal momento che il testo è abbastanza lungo rimando alla pagina su Arcipelago Toscana, dove Paolo Tintori, imprenditore orafo, insieme a commercialisti ed esperti del settore inquadra molto bene la fiscalità del sistema.Ci sono stati alcuni osservatori che dicono che a lo Stato ci rimetterebbe dal mancato gettito dovuto agli abbuoni. A queste persone rispondo: E' un falso problema!Questa è una visione statica (solo contabile) dell'evento, ed è un errore comune che compie chi non comprende bene la dinamica dei flussi economici. Ci viene insegnato che più la moneta circola (e più lo fa velocemente) per via degli scambi di beni e servizi più la ricchezza aumenta, quindi e ipotizzabile che un aumento della ricchezza ancorata al terrirorio (e non dispersa per effetto della globalizzazione) possa far rimanere stabile (o aumentare) il gettito fiscale. Ovviamente stiamo parlando di numeri tali da rappresentare una percentuale del PIL italiano, parlarne adesso è solo accademia.Infine, un po' provocatoriamente, a questi, che conoscono molto bene la contabilità, ma (dal momento che fanno queste osservazioni) non conoscono per nulla il motivo per cui esiste un prelievo fiscale (se non quello che ti viene insegnato a scuola per cui le tasse servono alla collettività), consiglierei la varia letteratura presente in rete (con google) su moneta, fisco e banche.

REDDITO DI CITTADINANZA
Ho deciso di separare il testo in diverse parti data la complessità di alcuni concetti.
Domenico De Simone nel suo testo "Altra Moneta" (rifacendosi all'economista Keynes) scrive: "...un esempio esilarante è quello di una persona che fa pulizie per conto di un’impresa privata, che viene conteggiata nel PIL di un paese per l’intero stipendio, oltre che per l’utile che la sua attività produce. Se la stessa persona fa le pulizie per conto di un ente pubblico, la sua attività entra nel PIL al solo costo, poiché non genera utili.Se infine, la stessa persona si mette a fare pulizie a casa sua o di amici, allora quella attività non viene conteggiata affatto nel PIL, nonostante essa sia altrettanto importante per la sopravvivenza della società. Immaginate che cosa può succedere in un paese se tutti quelli che puliscono le case, a qualsiasi titolo lo facciano, si rifiutino di continuare le proprie prestazioni senza una remunerazione. Dopo meno di un mese, tutto il paese sarebbe fermo per essere sprofondato nella sporcizia...".In poche parole: "...la stessa attività, infatti, è produttiva se inscritta nell’ambito dell’accumulazione monetaria e non lo è se è fuori da questo meccanismo...". Questo sistema ci fa vivere in una sociètà in cui la rarefazione monetaria sarà sempre presente.

REDDITO DI CITTADINANZA /2
Quindi, tornando a noi, è evidente che l'economia di mercato sta "dismettendo" gradualmente lo Stato Sociale. Per questo, nessuno (di noi), crede più alle ricette di questo o di quel politico... Cercano tutti di far andare insieme l'economia di mercato con l'economia del dono, ma quest'associazione è impossibile!Le pensioni, il SSN, prima o poi verranno dismessi (mettiamocelo tutti in testa) per via del nostro enorme debito pubblico che, come abbiamo già visto in precedenza non diminuirà MAI. Stiamo a guardare? Fortunatamente, NO! Ci sono molti economisti che conoscono bene queste tematiche e le appoggiano, oppure ci sono presidenti che rischiano la vita creando la moneta sociale (comunale.
A questo proposito Salvatore Tamburro nella sua tesi di laurea ci ricorda che molti presidenti americani, che tentarono di creare una moneta popolare, fecero una brutta fine: "Harrison avvelenato, Taylor avvelenato, Lincoln sparato, Garfield avvelenato, McKinley sparato, Roosevelt avvelenato, Kennedy sparati".Per i due Kennedy è certo che fu "una convergenza di interessi" a toglierli di mezzo, non solo quelli delle banche.In Italia abbiamo solo una possibilità, vista la casta di politici e imprenditori che ci ritroviamo.
Agire dal basso, fare rete e lavorare con il terzo settore. Il RdC, quindi può essere la soluzione ai problemi della dismissione del Welfare, basta comprendere che la cooperazione ed il volontariato (che fanno parte sempre dell'economia del dono) facciano parte della nostra vita. Concludendo: la casalinga che pulisce casa (e cresce i figli) avrà un suo RdC pari a € 500,00 al mese, a vita. Un bambino alla nascita avrà un RdC di € 150,00/250,00 al mese per poi essere incrementato crescendo, a vita. Ognuno di noi dovrebbe avere un RdC mensile a vita... perchè? Per il semplice motivo che la nostra esistenza è garanzia di produzione e consumo.Fate attenzione! Un individuo mangia, si veste, ecc. quindi crea domanda di beni e servizi che devono essere compensati con l'offerta da parte dei produttori di questi ultimi; la moneta, inteso come strumento di misura del valore prodotto, è irrilevante, potrei usare conchiglie, carte da gioco, bastoncini, basta che ci sia la fiducia di accettarla da parte della popolazione e di farla circolare. Anche in questo caso nel sistema attuale viene creata rarefazione monetaria.Il RdC non significa non dover più lavorare, il lavoro resterà sempre, ma per spiegare anche questo avrei bisogno di un ulteriore capitolo. Per chi vuole ci sono delle tesi di un profssore di economia della facoltà di Pavia che esprimono bene il concetto anche a 10 anni dalla stesura, andrebbero adattate...
http://isole.ecn.org/andrea.fumagalli/10tesi.htm
E' tutto qui, lo SCEC, nelle sue emissioni mensili (a regime) di 100 buoni al mese è un primo approccio al RdC; poi il progetto, visto che è open source, può essere sempre migliorato nel tempo (poichè l'economia non è scienza esatta) ed adattato alle necessità sociali che nasceranno.

tutto il thread lo troverete su: http://beppegrillo.meetup.com/1/boards/thread/5273995/

Etichette: , ,

venerdì 29 agosto 2008

Le TRE crisi

DI JUAN LUIS RODRIGUEZ Rebelion

Nel suo articolo su Le Monde Diplomatique e Rebelión, Ignacio Ramonet (nella foto) elenca tre crisi dell’attualità: la crisi finanziaria, la crisi energetica e la crisi alimentare. Credo che siano la stessa cosa, carissimo Ignacio.
È la crisi del potere economico sulle popolazioni. Sui cittadini. È un’unica crisi: la crisi che sopportano le persone che subiscono gli effetti degli immensi accumuli di denaro che circolano dal settore immobiliare al settore energetico, passando dall’industria alimentare, con l’unico obiettivo di ottenere più benefici, di incrementare il potere speculativo che quella massa di capitale è capace di generare.Effettivamente, così come spieghi nel tuo articolo, l’economia reale di sta deteriorando, un deterioramento che forse sarebbe più opportuno denominare schiacciamento dell’economia reale di fronte all’economia speculativa.Intorno agli anni Ottanta, i controlli del capitale erano pressoché spariti nei Paesi ricchi. Più tardi, negli anni Novanta, l’ascesa del beneficio privato crebbe abbondantemente, grazie al movimento del capitale speculativo, con somme quotidiane (e ci piacerebbe conoscere i valori reali!) stimate intorno ai 1,5-2 miliardi di dollari al giorno.Queste somme superano assolutamente le risorse di qualunque Paese europeo di primo ordine economico, ossia la ricchezza che i cittadini possono produrre. L’economia reale e produttiva. Attualmente si stima che nella dinamica economica globale soltanto da un 5% a un 10% della stessa sia reale. Il resto è massa speculativa. Di ciò dovrebbe esser bene a conoscenza la Banca Internazionale dei Depositi (una delle istituzioni più conservatrici che esistano).Il significato fondamentale di tali dati è inequivocabile: società e Paesi interi che lavorano tutti i giorni sono stati ridotti a un ruolo interamente marginale di fronte a piccoli gruppi di persone che possiedono un dominio completo dell’economia mondiale.Negli anni Ottanta, la struttura si modificò adottando la forma di ammassi imprenditoriali e acquisizioni di controllo. Negli anni Novanta, furono le istituzioni finanziarie quelle che replicarono tali comportamenti, formando grandi mostri bancari e movendo somme economiche superiori ai prodotti interni lordi di molti Paesi messi insieme. A fronte di ciò non esiste un potere politico, non esiste un’istituzione transnazionale con la capacità di intervento, con un potere effettivo e reale su ciò.Durante gli anni ’90, la maggior parte dei Paesi abbandonarono il controllo delle divise e con questo smise di essere necessario ottenere l’autorizzazione del governo per cambiare la moneta locale in moneta estera o viceversa. Come risultato, il volume giornaliero globale degli scambi di divisa è precipitato, passando da 590 miliardi di dollari nel 1989 a 1,88 miliardi nel 2004. La capacità di un Paese di controllare se il capitale si muove verso l’interno o l’esterno dei propri confini permette al proprio governo di portare a termine politiche monetarie e tributarie per sviluppare l’impiego, l’economia e le politiche sociali senza il timore che l’evasione di capitare renda impossibile questi programmi. Il governo eletto dai cittadini non ha più potere su ciò.In questa congiuntura sono state situate le democrazie.Negli Stati Uniti, la metà della Borsa è nelle mani dell’1% della popolazione, una serie di persone assolutamente privilegiate. L’altro 50% è proprietà, quasi per la sua totalità, del 10% della popolazione: l’aristocrazia finanziaria. E tutti già sappiamo come va il mondo e l’economia dei suoi abitanti, in contrasto con questi dati imbarazzanti che fanno sentire minute nazioni intere.Tutto ciò è rafforzato e sostentato a sua volta dalla rete internazionale di commercio di soldi in nero, che si mescolano e rendono sempre più invisibile con la speculazione “legittima”, lo scenario internazionale di paradisi fiscali (al di sopra di qualsiasi problematica sociale di qualunque Paese) e un’evoluzione nelle forme di occultamento che avanza quanto maggiore è l’accumulo di denaro.Le colossali somme di denaro, che sono mosse, vengono codificate in contratti di una tale complessità che soltanto gli specialisti di “livello più alto” sanno maneggiare. La conoscenza richiesta mette i servizi in lotta contro l’evasione e la fiscalità di qualunque Paese in una posizione di accesso impossibile: prima che un sommario di centinaia di pagine finisca per scoprire –l’opacità del denaro sarà cambiata - somme o tracce ridicole nella maggior parte delle occasioni, che non ha niente a che vedere con il grosso delle quantità, che fuggono a qualunque portata ufficiale.Stimato Ramonet, quasi durante gli ultimi due decenni il discorso economico ufficiale della totalità delle democrazie occidentali - a voce di quei signori politici-economisti programmati nelle università che non hanno avuto nulla a che vedere con l’interesse pubblico - è stato quello delle parole “libero mercato”.Un libero mercato che è stato falso. Il protezionismo nei Paesi occidentali, le politiche doganali delle economie più forti non hanno fatto altro che tutto il contrario: impedire uno scenario in cui l’offerta e la domanda contenesse un minimo di uguaglianza.Al libero mercato sono state esposte soltanto le piccole e le medie imprese. Le famiglie economiche più forti non sono soggette all’economia di mercato, sono le più protette dagli stati. Un esempio attuale di ciò lo abbiamo negli aiuti (con soldi pubblici) che, come conseguenza della crisi dei mutui, stanno ricevendo le famiglie bancarie da parte della Banca Centrale Europea e la Riserva Federale Statunitense. Il perverso e ingiusto concetto è stato denominato “privatizzazione dei benefici e socializzazione delle perdite” e dà un’idea adeguata di come fino a che punto questi signori hanno ottenuto che le politiche e misure economiche materializzate con capitale pubblico siano al servizio delle alte sfere.Come spieghi nel tuo referenziato articolo, il Fondo Monetario Internazionale stima che per uscire dal disastro, il sistema avrà bisogno di 610 miliardi di euro (vuol dire l’equivalente a due volte il budget della Francia!). E questi soldi dovremo pagarli tutti noi cittadini che apparteniamo ai Paesi che fanno parte del Fondo Monetario Internazionale, se questo organismo dovesse intervenire.E tutto ciò è così da molto e in molti settori. Noam Chomsky illustra la questione con un altro esempio che è specialmente simbolico: Internet; i soldi pubblici al servizio dei benefici privati.L’idea della worldwide web proviene dal Centro Internazionale d’Investigazione di Ginevra. Internet si sviluppò nel Pentagono in connessione con la Fondazione Nazionale della Scienza degli USA e varie Università. Dopo tre decenni dal suo sviluppo con i soldi pubblici si mise nelle mani di imprenditori come Bill Gates. E tutti possiamo farci un’idea dei benefici che gli ha fruttato. Così tanti che la sua fortuna personale è considerata come una delle maggiori al mondo.Ma la questione dei soldi pubblici al servizio dei benefici privati sta diventando una costante nel settore dell’energia, delle finanze, aeronautica, compagnie navali, I+D+I[1] …e un lungo ecc. Settori economici strategici nelle mani di un “club selettivo” alla caccia di sovvenzioni nazionali e internazionali.E le istituzioni politiche democratiche nazionali e internazionali? Sarebbero in molti gli specialisti che affermano che le basi istituzionali su cui si sostenta il nuovo ordine globale sono tre: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la Carta delle Nazioni Unite e il sistema Bretton Woods (nelle questioni economiche).Ciononostante, risoluzioni delle Nazioni Unite in difesa dei Diritti Umani sono incompiute dai Paesi democratici come gli USA, Israele (il suo Primo ministro Ehud Olmert lascia la sua carica a settembre a causa dei suoi scandali per corruzione), Russia…In un esempio estremo, tutti abbiamo osservato come, contrastando le opinioni pubbliche dei Paesi democratici e sviluppati, una serie di “falchi” e i loro “soci” abbiano concluso una guerra di sterminio in Iraq, a causa di quel business petrolifero che vogliono finire col controllare dittature familiari che dominano la materia prima dietro una vetrina araba che esegue gli ordini.La famosa sussidiaria di Halliburton - Kellogg, Brown e Root (KBR) - si era installata in Iraq per preparare tutta la logistica all’esercito, sei mesi prima che il Congresso degli Stati Uniti desse il via al conflitto. C’è una forma peggiore di questa per burlarsi di una democrazia per affari? C’è una peggior violazione dei Diritti Umani che uccidere a scopo di lucro, finanziando tale massacro con soldi pubblici?Beh, il Tribunale Penale Internazionale, come ben sai stimato Ramonet, non è accettato dagli Stati Uniti. Ai loro elitari e soci internazionali nessuno impone giustizia. Al di là delle democrazie, il potere della forza pagato dai cittadini statunitensi che permetta di avere un costo militare uguale alla somma delle spese militari di tutto il resto del mondo, rendono possibili autoritarismi di questo tipo.Ora, per esempio, un 80% della popolazione degli USA crede che il Paese sia «comandato e si muova in accordo con pochi grandi interessi che si preoccupano soltanto per loro stessi», senza tener conto del benestare della popolazione. Un 95% della popolazione pensa che il governo dovrebbe prestare più attenzione all’opinione pubblica e non lo fa.E in Europa, più concretamente in Italia, il 22 luglio si approva (si è approvata, n.d.t.) una legge fatta su misura per Silvio Berlusconi che garantisce l’immunità giudiziale a lui e alle altre tre cariche più importanti dello Stato. Berlusconi vuole che si smetta di dargli fastidio con le imputazioni su casi di corruzione.Il Rapporto sullo Sviluppo Umano dell’ONU del 1998 lasciava chiaro il dato che un 20% dell’umanità possedeva l’ 84% della ricchezza globale. Nel 2000, 225 multimilionari avevano a disposizione una ricchezza superiore a quella posseduta da due miliardi e mezzo di persone (47% della popolazione mondiale). I Rapporti realizzati dall’ONU posteriori a questa data sono molto più cruenti per quanto riguarda l’accumulo di ricchezze. I dati sono peggiorati molto di più. Lo spettacolo è rimasto senza un nome. E la tendenza è quella della continua crescita.Il vertice dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Agricoltura e l’Alimentazione (FAO) dello scorso 5 giugno a Roma sulla sicurezza alimentare fu incapace di trovare un accordo per potenziare la produzione alimentare mondiale. E questo stesso organismo riporta il dato per il quale esistono alimenti per approvvigionare la popolazione mondiale due, tre – e alcuni tecnici affermano addirittura otto – volte.Si potrà accedere universalmente ai Servizi Sociali basilari con un 10% del budget militare degli USA, o con la quarta parte dei budgets militari annuali dei Paesi in via di sviluppo.50 milioni di poveri nell’Unione Europea. Altrettanti negli USA. E la tendenza è in aumento. E tutto ciò senza entrare nei dati del Terzo Mondo. Arriva un momento in cui spaventa parlare di tanti milioni di poveri in questo modo.Terminavi il tuo articolo con una riflessione: «è ora che i cittadini dicano “Basta!”». Riflessione alla quale mi sottoscrivo assolutamente. Penso che esattamente persone con il tuo bagaglio culturale e traiettoria siano quelle che debbano smettere di indirizzare formule col fine di rendere reale ed effettiva una reazione cittadina all’altezza delle circostanze.Juan Luís Rodríguez è psicologo, specialista in Psicologia Clinica e della Salute. Ex consulente nei Gabinetti del Consiglio per gli Affari Sociali e di quello per l’Uguaglianza e il Benestare Sociale della Giunta dell’Andalusia. Collaboratore di Attac Sevilla, e articolista nei mezzi digitali indipendenti.
Fonte: www.rebelion.orgLink: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=710663.08.08Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org/
a cura di SABRINA VECCHIERELLIFonti:Saleh M. Nsouli y Andrea Schaechter, “Challenges of the E-Banking Revolution”, Finance & Development, settembre 2002.Gabriela Galato y Michael Melvin, “Why has FX Trading Surged? Explaining the 2004 Triennial Survey”, BIS Quarterly Review, dicembre 2004.Tom Abate, “Banking´s Soldiers of Fortune”, San Francisco Chronicle, 7 dicembre 2004.Ignacio Ramonet, “Las Tres Crisis”. Le Monde Diplomatique.Intervista di Vicenc Navarro a Noam Chomsky. 13 maggio 2008.El País, 31 luglio 2008.

Etichette:

giovedì 28 agosto 2008

Disimballiamoci (e non solo) decrescendo!

Disimballiamoci
Poco per volta gli italiani stanno imparando quanto gli costa la mania di imballare più volte la stessa merce.
E ancora troppo pochi sanno che, spesso, un tipo di imballaggio su tre non serve affatto per proteggere il prodotto, ma per venderne di più.
La Repubblica di oggi (27 agosto) dedica un'intera pagina all'argomento e ci informa che per prodotti di largo consumo (latte, pasta, succhi di frutta, passata di pomodori) il costo dell'imballaggio finale (involucro, tappo, etichette ..), per l'acquirente finale, è pari al 10-20 % della spesa effettiva.
Ma in questo conto non c'è il costo degli imballaggi primari (quelli che sono serviti a trasportare le confezioni al centro commerciale) e il costo del loro smaltimento che, ovviamente il venditore carica sul compratore.
Ma non abbiamo ancora finito. Tutti gli imballaggi con cui riempiamo i contenitori per la raccolta differenziata (si spera) ci costano una bella cifra anche per il loro ritiro e riciclo (smaltimento).
Dei circa 250 chili di scarti che ognuno di noi produce ogni anno, circa la metà (125 kg) sono imballaggi; dato che a noi, il servizio di nettezza urbana, che ancora ci viene fatto pagare in base ai metri quadrati di abitazione, costa circa 30 centesimi a chilo di scarto effettivamente prodotto, questi 125 chili di imballaggi ci costano altri 37 euri all'anno, per ogni componente della nostra famiglia.
Quindi ben vengano vendite di prodotti sfusi e per favore fate sparire al più presto tutti gli imballaggi inutili ( tanto per capirci gli "shopper" e le fascette di cartone o di plastica che ci costringono a comprare tre scatole di tonno, tre buste di caffe, tre yougurt...quando ce ne basta uno).

Sacchetto di plastica (shopper)? No grazie.
Anch'io ho il mio piccolo consiglio contro il caro vita: rifiutare categoricamente ogni sacchetto di plastica che vi vogliono affibbiare dopo che avete fatto i vostri acquisti.Non so se ve ne siete accorti, ma i sacchetti di plastica si pagano 5 centesimi l'uno; sembra poco, ma su una spesa di 5 euro, l'inutile sacchetto aumenta il costo della spesa dell'1%.
A questo balzello occorre aggiungere, per piccole che siano, le spese, sempre a vostro carico, per il ritiro e lo smaltimento del suddetto sacchetto.
Avete poi pensato al fatto che, tutte le volte che cedete alla lusinga del sacchetto, vi trasformate in uomo/donna "sandwich", che porta in giro per la città il logo del negozio? In una seria economia di mercato dovreste essere voi ad essere pagati per questo servizio di testimonial ambulante e non viceversa.
Insomma, fatevi furbi! Tutte le volte che uscite, ricordatevi di portarvi sempre dietro una bella borsa di tela, magari con stampato, ben grande, il messaggio che piace a voi.

Etichette: , ,

sabato 16 agosto 2008

La Transizione si fa con la Decrescita

"Mi interessa molto il futuro:è li che passerò il resto della mia vita" Groucho Marx

L'alternativa di Totnes
(per trovare la prima città di transizione in Italia clicca qui
il blog di "un uomo di transizione" qui)

Una cittadina del Devon, Gran Bretagna, tenta la «transizione» verso una vita con meno petrolio. Altre seguono l'esempio: un diverso modello energetico e produttivo
di Geraldina Colotti (articolo completo qui)

Storia, cultura, bellezze naturali... Anche prima del 2005, c'erano molte buone ragioni per spingersi fino a Totnes, nel Devon, all'estremo sudovest del Regno unito. Ma da tre anni, questa cittadina lungo le rive del fiume Dart, tra le più ricche della gran Bretagna pur con solo 12.000 abitanti, offre anche un a sorta di «ritorno al futuro»: pompe a calore geotermico, grandi forni solari, mulini ad acqua o a vento come quelli di Don Chisciotte.Totnes è capofila del movimento delle Transition towns, le città «in transizione»: un esperimento di alternativa energetica e produttiva all'economia basata sui combustibili fossili. A ideare il progetto è stato il ricercatore universitario Rob Hopkins, che ha maturato l'idea durante i suoi corsi e l'ha formalizzata in un saggio dal titolo «Energy Descent Action Plan».Ecco un tassello di marca anglosassone al movimento della Decrescita felice. Hopkins - esperto di permacultura, la disciplina che insegna a progettare insediamenti umani in armonia naturale con gli ecosistemi-, ha messo a punto il progetto di «città in transizione» insieme agli studenti del Kinsale Further Education College. Louise Rooney, una sua allieva, ha poi sviluppato il concetto e ha presentato un piano per l'indipendenza energetica al Consiglio municipale della cittadina irlandese di Kinsale. Il Consiglio lo ha accolto e ha fornito anche un piccolo finanziamento di 5.000 euro.Da Kinsale e da Totnes, città natale di Hopkins, ha dunque preso avvio un esperimento ambientalista «dal basso» per sfuggire al mefistofelico patto tra l'umanità e il carbon fossile che, dopo averle permesso di vivere in preda al lusso e allo spreco, è tornato a esigere il prezzo dovuto: la discesa nel fuoco degli inferi, anticipate dalle temperature del pianeta e dalle analisi dei campioni di ghiaccio prelevati dall'Antartide, che rivelanoil più alto livello di anidride carbonica e metano (i due principali gas serra) riscontrati nell'atmosfera negli ultimi 650.000 anni. Si può fare, ha detto il gruppo di Hopkins, e in molti hanno raccolto la sfida.In rete, i Wiki si sono mobilitati; un blog italiano (www.ioelatransizione.wordpress.com) ha tradotto i punti chiave dell'articolato network (www.transitiontowns.org). Oggi, al movimento partecipa una cinquantina di agglomerati, dai villaggi ai distretti alle città vere e proprie. Da Totnes, dov'è tornato a vivere nel 2006, Hopkins rilascia interviste e spiega sorridente agli ospiti il piano di decrescita energetica per fare a meno del petrolio e dei suoi derivati: abitazioni a basso consumo energetico, generatori eolici e pannelli solari, orti per rendere autonoma la piccola produzione locale e ridurre l'inquinamento prodotto dai viaggi aerei per il trasporto di merci.Hopkins non è il prototipo del Donchisciotte visionario, ma un pragmatico quarantenne inglese che, preoccupato soprattutto per gli effetti della crisi legata al sistema del petrolio, ha deciso di fare qualcosa subito: «Ragionando fuori dallo schema corrente», sostiene Hopkins, «possiamo riconoscere che la fine dell'era di petrolio a basso costo è un'opportunità più che una minaccia, e progettare la futura era a bassa emissione di anidride carbonica come un'epoca fiorente, caratterizzata da flessibilità e abbondanza: un posto molto migliore in cui vivere dell'attuale epoca di consumo alienante basato sull'avidità, sulla guerra e sul mito di crescita infinita».Un rinascimento fondato sul riciclo, la riqualificazione di antichi mestieri e soprattutto sul principio di «resilienza» (dall'inglese resilience, rimbalzo, capacità di recupero): la strategia di adattamento attivo, propria degli organismi naturali, che consente di resistere ai mutamenti esterni e di autorigenerarsi. In questo spirito, Totnes si è anche dotata del Totnes Pound, una moneta autonoma che vale quanto una sterlina inglese, ma si può acquistare per 95 centesimi e la differenza costituisce un piccolo margine economico per chi l'acquista. Tutti i commercianti che aderiscono alla filosofia delle Transition towns accettano la banconota che circola in un ambito geografico limitato per consentire «alla ricchezza di rimanere nella comunità». L'esperienza di Totnes non è però nata dal nulla. Alla rete delle «città in transizione» aderiscono infatti esperienze di decrescita felice come il Cat (Centre for Alternative Technology), che ha già un lungo percorso alle spalle. A Machynlleth, nel Galles, in un centro isolato nel bosco a 3 km dal centro urbano, c'è un villaggio ecologico che occupa due ettari nel verde dalla metà degli anni '70. Ci vivono stabilmente 140 persone, mentre un gruppo di 15 si alterna per seguire corsi di addestramento pratico durante l'anno.«Al Cat - racconta Marta Carugati, che accompagna i corsi dell'associazione Paea - tutto viene posto su un piano dimostrativo, in un gioco continuo fra apprendimento e svago. I bambini apprendono dagli anziani come si coltiva un orto, o girano la leva di una struttura alta due metri che produce elettricità sfruttando il moto ondoso delle maree». Una piccola pompa a calore geotermico, azionata al contrario, mostra invece come si può rinfrescare la casa catturando il calore del suolo. Nel sud del mondo, con il calore geotermico si essicca il piretro o il legname, qui i bambini apprendono come impiegare i materiali naturali secondo le metodologie alternative. «A disposizione degli oltre 40.000 visitatori all'anno che passano dal centro - spiega ancora l'architetta di Paea - ci sono libri di impostazione pratica, utili per autoprodurre le cose di cui si parla e non per fare teoria». Il Cat propone perciò diverse attività informative e di consulenza: «Si insegna a realizzare edifici a basso consumo energetico con materiali interamente ecologici, privilegiando legno, terra cruda e balle di paglia». In certi casi, infatti, sostituire fonti fossili con rinnovabili non porta a nulla se non si isolano gli edifici «pieni di spifferi» o non si sostituisce «il sistema di riscaldamento che, nel tempo, non ha convenienza energetica».Ma per realizzare l'eccellenza di quella che viene definita «passivhaus» - una casa che per il riscaldamento sfrutta il calore necessario prodotto dalla luce solare che penetra dalle finestre, e quello emanato dalle persone che ci abitano - bisogna scontrarsi con gli interessi dei costruttori che non rispettano i requisiti energetici richiesti dalle pur deboli normative. Costruire case male è più economico che farle bene. «I costruttori lasciano nei solai la quantità prevista di materiale isolante ancora arrotolata, sapendo che nessuno controlla», racconta George Monbiot, ambientalista, attivista politico, giornalista noto per la sua pungente rubrica sul quotidiano The Guardian, nonché simpatizzante delle «città in transizione». Nel suo libro Calore, edito in Italia da Longanesi, spiega: «Mentre la domanda di energia nel Regno unito è aumentata del 7,3 per cento tra il 1990 e il 2003, nelle nostre case l'aumento è stato del 19 per cento. Complessivamente sono responsabili del 31 per cento dell'energia consumata in questo paese». L'82 per cento di questa energia è utilizzato per il riscaldamento degli ambienti e dell'acqua, «un valore - dice ancora Monbiot - che è aumentato del 36 per cento a partire dal 1970». Una casa «passiva» debitamente a norma consentirebbe invece di risparmiare circa tre quarti dell'energia consumata da una normale abitazione moderna di uguali dimensioni. In Norvegia e in Svezia, le abitazioni che rispettano le leggi sull'edilizia «utilizzano un quarto dell'energia delle abitazioni che rispettano le leggi in vigore in Inghilterra e in Galles».I tedeschi, che hanno inventato la casa passiva negli anni '80, sono più avanti. Da loro se ne contano circa 4.000. «I tedeschi - fa notare Marta Carugati, reduce da un viaggio presso il Centro per l'Energia e l'ambiente di Kronsberg, ad Hannover, esempio di edilizia popolare e a basso consumo - oggi costruiscono su larga scala, forniscono software per progetti di cantieristica e fabbriche. E, in termini di risparmio energetico, riescono a far quadrare i conti».LA FELICE VITA DELLA DECRESCITA Per farla finita con la «fede nel consumismo» e nella crescita che distrugge il pianeta, il movimento della decrescita si pone obiettivi politici di grande portata: trasformare strutture, rilocalizzare l'economia, rivedere i rapporti con il Sud che è stato trascinato in un vicolo cieco. Serge Latouche, Riccardo Petrella e Enrique Dussel tornano su questi temi in un piccolo libro dal titolo «La sfida della decrescita», edito da L'altrapagina.

Etichette: , ,

giovedì 7 agosto 2008

DIRITTI UMANI



Il 9 agosto in p.zza Margherita a Viareggio,i GRILLI VERSILIESI promuoveranno un banchetto per tenere alta l'attenzione pubblica sulle continue violazioni dei diritti umani,subite dal popolo tibetano da parte del governo cinese.Sarà una serata per ricordare anche le violenze subite da tutti i popoli oppressi del nostro pianeta,nonchè il triste anniversario dello sgancio della seconda bomba atomica su Nagasaki.Le olimpiadi stanno iniziando in un paese che non le merita.
Riporto fedelmente un articolo del giornalista Federico Rampini,inviato in Cina per seguire l'evento sportivo.

Il primo dicembre 2006, Pechino annunciava che di lì a poco sarebbero scomparse le ultime restrizioni sulla libertà di circolazione per noi giornalisti stranieri sul territorio della Repubblica Popolare. Il giorno dopo, nel descrivere quel provvedimento, scrivevo su Repubblica: "I Giochi del 2008 semineranno qualche germe di cambiamento in questa Cina". Quella previsione, ahimé, si è avverata nella direzione diametralmente opposta. I reporter stranieri che arrivano in questi giorni, e che si aggiungono a noi corrispondenti permanenti per coprire le Olimpiadi, trovano una Cina per molti aspetti peggiorata dal 2006.

Quello che colpisce subito i nuovi arrivati, naturalmente, è l'insopportabile groviglio di restrizioni alla nostra libertà. Non possiamo andare in Tibet. Non possiamo usare una webcam su Piazza Tienanmen, né in alcuno degli stadi olimpici. Non possiamo accedere a diversi siti Internet oscurati dalla censura. Dietro questi limiti che ci colpiscono direttamente, c'è una situazione ben più drammatica per i cinesi. Rispetto alla tradizionale mancanza di libertà di informazione c'è stato un ulteriore arretramento.

Proprio in vista dei Giochi il governo ha "ripulito" la capitale dei potenziali disturbatori dell'ordine: dagli immigrati che appartengono alle minoranze etniche tibetana e uigura, ai dissidenti, agli avvocati che difendono cause umanitarie. Alcuni di questi attivisti oggi sono agli arresti domiciliari per impedire che entrino in contatto con gli stranieri.

Che cos'è accaduto dunque perché le speranze accese nel dicembre 2006 si vanificassero così brutalmente? Gran parte della spiegazione sta negli avvenimenti tragici di questa primavera, che hanno colto la leadership cinese impreparata, e hanno provocato una reazione furibonda. La rivolta del Tibet a metà marzo, seguita dalle contestazioni contro la fiaccola olimpica a Londra, Parigi e San Francisco, hanno provocato un arroccamento. Il regime di Pechino ha vissuto improvvisamente un incubo: il rischio che questi Giochi con l'accresciuta visibilità che comportano, diventino un'occasione per un "processo virtuale" alla Cina, ai suoi abusi contro i diritti umani, ai suoi gravi ritardi sul terreno delle libertà individuali.

La reazione della nomenklatura ha fatto appello al riflesso condizionato del vittimismo nazionalista: il popolo cinese è stato chiamato a serrare i ranghi contro "l'offensiva" degli stranieri. In questo clima di unità nazionale, invocato per difendere l'immagine della Repubblica Popolare, gli spazi di tolleranza che si erano aperti negli ultimi anni si sono nuovamente ristretti.

Ogni voce critica è catalogata come un "sabotatore" dei Giochi, un nemico della patria. La censura è tornata ad avere carta bianca. Anche le maggiori libertà che erano state promesse a noi giornalisti stranieri sono state revocate, per effetto di questo clima.

Ma le vere vittime non siamo noi: sono le tante voci di dissenso che negli ultimi anni avevano trovato nuovamente il coraggio di farsi sentire in Cina, e ora tacciono in attesa di tempi migliori. In attesa che passi la "nottata" dei Giochi, un avvenimento che paradossalmente ha fatto fare ai leader cinesi un grande balzo all'indietro.

Federico Rampini

Etichette: ,

sabato 2 agosto 2008

Il movimento della Transizione

TRACOLLO IMMINENTE! Il movimento della Transizione

Ecco il movimento dei comuni che si danno strumenti concreti per affrontare l’emergenza.
IL MOVIMENTO DELLA TRANSIZIONE.E’ partita dall’Inghilterra l’esperienza concreta della creazione di nuove forme di economia locale.Un movimento che si pone innanzi tutto il problema di organizzare l’autodifesa economica, energetica e alimentare contro la crisi del sistema petrolio.E’ necessario che anche in Italia il Movimento metta al primo posto la TRANSIZIONE dal sistema del petrolio al sistema del buon senso. In diversi Paesi industrializzati in molti hanno gia' fatto questa scelta. Centinaia di piccoli comuni stanno gia' convertendo la loro economia. In Italia si parla soprattutto di organizzare cortei.
Perche' abbiamo bisogno subito di un movimento che organizzi la transizione.Un anno fa il petrolio stava a 70 dollari al barile, oggi il prezzo del petrolio si aggira intorno ai 140 dollari: e' raddoppiato. Le derrate alimentari sono aumentate del 12-14%.Sul mercato dei future gia' si scommette sul prezzo del petrolio a 200 dollari a barile entro la fine del 2008. e' importante comprendere che la nostra economia, il nostro stesso sistema sociale, non può reggere un prezzo del petrolio a 140 dollari e tantomeno a 200 dollari al barile. L’effetto di questo aumento del petrolio non si e' ancora visto perche' il mondo e' pieno di merci prodotte quando il petrolio era a 18, a 30, a 70 dollari al barile....

trovi tutto l'articolo su:http://www.jacopofo.com/movimento-della-transizione

Città di Transizione
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Le Città di Transizione (Transition Towns) rappresentano un movimento fondato in Irlanda a Kingsale e in Inghilterra a Totnes dall'ambientalista Rob Hopkins negli anni 2005 e 2006. L'obiettivo del progetto è di preparare le comunità ad affrontare la doppia sfida costituita dal sommarsi del riscaldamento globale e del picco del petrolio. Il movimento è attualmente in rapida crescita e conta comunità affiliate in molte parti del mondo.

Storia
Il concetto di Transizione matura dal lavoro fatto da Rob Hopkins (esperto di permacoltura) assieme agli studenti del Kinsale Further Education College, culminato in un saggio dal titolo "Energy Descent Action Plan". Questo tratta di approcci multidisciplinari e creativi riguardo a produzione di energia, salute, educazione, economia e agricoltura, sotto forma di "road map" verso un futuro sostenibile per la Città. Uno degli studenti, Louise Rooney, ha poi ulteriormente sviluppato il concetto di Città di Transizione e lo ha presentato al Kinsale Town Council, il quale con una storica decisione ha adottato il piano e lavora oggi alla propria indipendenza energetica.
L'idea è stata poi riformulata ed espansa nel Settembre 2006 per la città nativa di Hopkins, Totnes, dove egli oggi vive. L'iniziativa ha avuto rapida diffusione e, alla data del 25 Aprile 2008, si segnalano oltre cinquanta comunità riconosciute ufficialmente come Transition Towns[1] in Regno Unito, Irlanda, Australia, e Nuova Zelanda. L'appellativo "Città" rappresenta in realtà comunità di diverse dimensioni, da piccoli villaggi (Kinsale), a distretti (Penwith) fino a vere e proprie città (Brixton).

Caratteristiche del progetto
Lo scopo principale del progetto è quello di elevare la consapevolezza rispetto a temi di insediamento sostenibile e preparare alla flessibilità richiesta dai mutamenti in corso. Le comunità sono incoraggiate a ricercare metodi per ridurre l'utilizzo d energia ed incrementare la propria autonomia a tutti i livelli. Esempi di iniziative riguardano la creazione di orti comuni, riciclaggio di materie di scarto come materia prima per altre filiere produttive, o semplicemente la riparazione di vecchi oggetti non più funzionanti in luogo della loro dismissione come rifiuti. [2]
Sebbene gli obiettivi generali rimangano invariati, i metodi operativi utilizzati possono cambiare. Per esempio Totnes ha introdotto una propria moneta locale, il Totnes pound, che è spendibile nei negozi e presso le attività commerciali locali. Questo aiuta a ridurre le "food miles" (distanza percorsa dal cibo prima di essere consumato, causa di inquinamento e dispendio energetico) e supporta l'economia locale.[3] La stessa idea di moneta locale verrà introdotta in tre Transition Towns gallesi. [4]
Fulcro del movimento delle Transition Town è l'idea che una vita senza petrolio può in realtà essere più godibile e soddisfacente dell'attuale. "Ragionando fuori dallo schema corrente, possiamo in realtà riconoscere che la fine dell'era di petrolio a basso costo è un'opportunità piuttosto che una minaccia, e possiamo progettare la futura era a bassa emissione di anidride cabonica come epoca fiorente, caratterizzata da flessibilità e abbondanza - un posto molto migliore in cui vivere dell'attuale epoca di consumo alienante basato sull'avidità, sulla guerra e sul mito di crescita infinita".[5]

Futuro del progetto [Il numero di comunità coinvolte nel progetto è in costante crescita, con molte città prossime alla "ufficializzazione". [6][7] Il movimento riceve sempre maggiore attenzione da parte dei media grazie alla propria rapida crescita.

Etichette: , ,